venerdì 20 maggio 2016

Lettera di Marco Pannella a Toni Negri, 28 ottobre 1983


Lettera di Marco Pannella a Toni Negri, 28 ottobre 1983

Marco Pannella sostiene di non essere più in contatto con Toni Negri da alcune settimane. Ha appreso dal «Corriere» che l'imputato del processo «7 aprile» eletto nelle liste radicali, con una lettera ad un'università spagnola annunciava l'intenzione di proseguire la latitanza. Ha quindi deciso di inviargli, attraverso il «Corriere», questa lettera che riceviamo e volentieri pubblichiamo.)

Caro Toni Negri,

è giunta l'eco, finalmente, e a Madrid, della tua esistenza e delle tue intenzioni. Ci sei ancora, dunque, e operi e auspichi che un qualsiasi Paese ti offra la possibilità di fare tranquillamente il filosofo, intellettuale, impegnato - beninteso - a trasformare il mondo e non solo a contemplarlo.
Precisi anche che tale obiettivo ti impone in questo periodo una vita difficile, a Parigi o dovunque ti trovi. Proclami, inoltre, di voler in tal modo rifiutarti di obbedire a leggi ingiuste, comportamento doveroso per chiunque abbia un minimo di virtù civile repubblicana.
Consentimi, per quanto mi e ci riguarda, di stare ai fatti, e di starci non per contemplarli - appunto - ma modificarli. E credimi, li modificheremo; ti piaccia, come spero, o non ti piaccia, come temo. E presto.
Un primo fatto è il seguente: da molte settimane, ormai, ti occupi di tutto, tranne che del processo «7 aprile», del tuo essere deputato eletto per ben chiari motivi e obiettivi, dei concreti problemi dei tuoi compagni di prigionia e di violenza subita e da abbattere invece che da aiutare a trionfare (contro di loro e contro la giustizia, s'intende!), della condizione carceraria in genere, dell'uso agevolmente e prevedibilmente fatto di quel che appare oggi più come la tua fuga verso i lidi privati dell'oasi o del ghetto che, ad esempio Maria Antonietta Macciocchi e altri, continuano ritenere privilegio e diritto dell'«intellettuale europeo». Non una lettera, non una dichiarazione, non un'intervista, non una frase, non un'informazione, non una risposta, non dico una lotta, ma nemmeno un gesto in tal senso.
Certo, mi dirai: «Son settimane dure, in fondo sono solo settimane, caro Marco; e sono un latitante, sono in fuga, vorrei vedere te al mio posto, se mi beccano rischio l'ergastolo, non sono né un martire né un eroe, gli anni e anni di galera me li sono fatti io mica tu, i miei genitori, i miei figli, la mia compagna, mica i tuoi....
Appena avrò sistemato questa faccenda, appena il filosofo e intellettuale che io sono - per dinci, lo si ricordi! - avrà ottenuto in qualche Paese d'Europa e del mondo l'ospitalità sicura, il lavoro, la casa, vedrai come mi impegnerò, se me lo permetteranno, certo, ma anche io sono capace di rompermi, alla fine, e di tornare, e poi anche di farmi fuori perché, te lo ho già detto, ci metto poco a farmi fuori, con questa vita, questa storia, questa violenza...».
Certo, certo caro Toni Negri. Io ho infatti rispettato con il silenzio la fuga di Oreste Scalzone, malato terrorizzato che dichiarava a tutti, pateticamente, che lui in prigione ci sarebbe morto, non gli era omogenea, ed era vero, e che così giustificò la sua fuga. Scalzone non era deputato, era detenuto, la sua è stata un'evasione, non ha preteso in tal modo di fare il suo dovere rivoluzionario, o democratico, o di intellettuale. Il suo processo sarebbe tardato anni, l'opinione pubblica non ne sapeva nulla, tranne che anche lui era un mostro. Si era nella fase in cui si imponevano le leggi terroristiche con l'alibi del terrorismo, contro i nostri soli sforzi e ostruzionismi non in quella di oggi, con quelle leggi in crisi e riconosciute inutili e ignominiose da tutti, con il caso tuo e di Enzo Tortora imposto alla attualità politica della gente e non solo dello Stato.
Il tuo processo è in corso, i tuoi compagni lo subiscono in carcere, non sono deputati, sono macellati ogni giorno da un ingranaggio che tu hai in queste settimane la responsabilità di aver reso quasi invincibile: il clima è tale, dopo la tua fuga, che non vi sono a volte avvocati, nemmeno uno; che a volte ve ne sono uno o due; si parla del tuo rifugio e di te all'estero, per meglio tornare a nascondere la loro situazione e la loro verità, si va avanti ora ad un ritmo frenetico, cinque, sei interrogatori ad udienza, i pentiti lasciati senza contestazione e contraddittorio, uno spettacolo umano, giudiziario, civile orrido e crudele, cui tutti sembrano rassegnati. Su di loro stinge l'uso e l'abuso di un episodio facilmente contrabbandabile come viltà e la violenza anche contro chi è esposto, impegnato, ha lottato per liberare la giustizia da leggi, situazioni, processi, sentenze, esecuzioni suicide, oltre che barbare.
Non sono che settimane, ma quali settimane, quali giorni e quali notti, quali ore, che avrebbero potuto essere di segno opposto all'attuale.
Avresti potuto essere lì e altrove, ogni giorno lottando per tutti e per te, cioè manifestando con chi combatte ancora «per la giustizia», mettendo a frutto i talenti consegnatici, che stai sperperando davvero in modo quasi blasfemo, tanto l'errore mi appare stupido, tanto è distruttivo a cominciare dalla tua esistenza, dal tuo futuro, dalla tua immagine ma anche dalla tua concreta esistenza, se avessi ascoltato - se ascoltassi - la voce della ragionevolezza e della speranza, invece che quella delle tue elucubrazioni vitalistiche e della disperazione, di un individualismo esasperato e disperato. Poi, un giorno, ti prenderanno. Quando la sentenza ci sarà già stata, sarà divenuta esecutiva, ti avranno potuto facilmente condannare - grazie anche alla tua latitanza - per le più ignominiose accuse.
Avresti potuto dar corpo ad altro che a questo nulla, a questo tragico squallore. Deputato in carcere, a Rebibbia o a Poggioreale, all'Ucciardone o alle Nuove, in una situazione di accusatore e di qualcuno che vuole e sa fare, della conquista della propria libertà, una conquista di libertà, di verità per tutti, privilegiato quanto nessun altro mai, aiutato dal colloquio intenso, continuo, con i tuoi compagni di storia, di violenza subita oltre che in alcuni casi inferta, da noi, dalla gente. Avresti, avremmo potuto...
Invece, nulla. Anzi l'opposto.
Noi andremo avanti, malgrado gli inconvenienti gravi che il tuo fuggire, il tuo mancare, ha provocato. Per noi le ragioni e la forza che ci hanno consentito di concepire, affermare, anche quel che è passato attraverso il decreto di scarcerazione per decorrenza-termini di Toni Negri, emanato dal popolo sovrano per nostra iniziativa, restano. L'irreparabile semmai, è per te, innanzitutto, e per i tuoi compagni, e tutti coloro che sono vittime di meccanismi giudiziari e di leggi che colpiscono il prestigio stesso della giustizia e dello Stato.
Forse si è ancora in tempo, perché il danno e l'errore siano almeno in gran parte riparati.
Ti propongo, o ripropongo, quanto avevamo insieme previsto, deciso noi e accettato pubblicamente tu. Riconoscere un errore, caro Toni Negri, è prova e ragione di forza. Sono certo di interpretare in tal modo i sentimenti, le speranze, le valutazioni dei tuoi compagni, dei tuoi elettori, dei miei compagni del Partito radicale, dell'opinione pubblica democratica.
Sai bene che non solamente chi s'abbassa a odiare e odiarti, dal cattivissimo maestro Almirante al mio amico imbecerito (spero provvisoriamente) Indro Montanelli, ma un certo Stato partitocratico, la cordata dei teoremisti alla Calogero, che ti disprezza e odia a partire dalla tua e sua concreta storia, sono interessati a che tu continui ad essere fuori, a lasciar libero corso alla mostruosa macchina in moto.
Sai bene che non è un caso se ti fa proporre la protrazione della fuga da parte di questo o quel servizio segreto fino in America Latina o altrove; se lo Stato francese non fa mostra di zelo, gli stai benissimo così, anche perché sta benissimo a quello della partitocrazia italiana. Esci da questa situazione, fuggi la fuga, dà corpo, e voce, e mano alla dignità ma soprattutto alla speranza ragionevole ed umana.
A questo punto, nel salutarti, ti preciso le regole del gioco cui intendo attenermi. Ti chiedo di decidere in modo inequivocabile e provato, solido, entro il 15 novembre, con noi e solo con noi, le modalità dell'esecuzione del mandato di cattura e del tuo rientro nel processo, accanto ai compagni e a tutti noi. Di renderlo pubblico e di riprendere da quel momento, con noi, l'azione volta a pubblicizzare e far conoscere ovunque, in Europa, la verità processuali e le ragioni ideali e politiche, civili e di diritto, della lotta che così torneresti a raggiungere, a far anche tua.
E di passare al fatto, ai fatti, entro il 1 dicembre, al massimo.
Se la tua decisione fosse altra, ti prego, ove tu ritenessi di continuare a poter restare deputato, di iscriverti immediatamente al Gruppo misto della Camera.
Dal 15 novembre, definitivamente, o compagni o avversari.
Per gli stessi motivi per i quali, con decisione assolutamente unilaterale, decidemmo di presentarti e di farti eleggere, motivi ideali quant'altri mai, perché tu dessi forza anziché debolezza ai 25.000 detenuti in attesa di giudizio e alla speranza nello Stato di diritto, democratico, contro l'usurpazione partitocratica, da quel momento sarei anch'io dovunque tu saresti, a spiegare, scrivere, parlare alla gente ed all'opinione pubblica, facendo noi del Partito radicale, in ogni sede, quel che non hai ancora fatto e rischi di aver disfatto, a cominciare dalla chiarezza sul caso del «7 aprile», e sul tuo.
Dio, la coscienza, la speranza - l'uno o le altre o insieme - ti illuminino, Toni Negri. Ne hai e ne abbiamo bisogno, tutti, anche chi per lottare per le sue idee crede invece di aver bisogno del peggio, e non del meglio, di te.

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