lunedì 17 dicembre 2012

Giuliano Santoro: Pastorale Grillina @ Suduepiedi.net


"Ogni mattina studio un capitolo di ‘iPhone for dummies’, sono un esperto. Da due mesi non leggo una parola. Prendo questo aggeggio e ci gioco”. Questo potenziale tweet perfetto è parte dell’intervista con la quale Philip Roth ha annunciato al New York Times di voler smettere di scrivere. È un messaggio composto da 141 caratteri: noi compulsivi sappiamo che con un piccolo accorgimento potrebbe stare in un tweet lasciandosi dietro la scia di ebbrezza che ci pervade per un attimo quando su Twitter il contatore segna “0” e sappiamo di avere utilizzato tutto lo spazio a nostra disposizione.
Una notifica lampeggia in rosso, in alto a sinistra, sullo schermo dello Smartberry dal quale sto componendo questo testo. Un’altra email. Il saltar di palo in frasca arrampicandosi lungo la successione casuale della comunicazione in rete mi sorprende anche stavolta: scopro che l’uscita di scena dell’autore di “Pastorale americana”, il fatto che abbia deciso di appendere la penna al calamaio per dedicarsi al suo Melafonino e che questo addirittura gli impedisca di frequentare la parola scritta, ha anticipato i temi del quarantaseiesimo rapporto Censis. Secondo questa ricerca, gli italiani continuano a guardare massicciamente la televisione ma sempre più spesso la guardano dal monitor del computer. Televisione e rete si contaminano. Scorrendo questo dossier veniamo a sapere anche che i nostri concittadini sono sempre più affezionati (eufemismo) ai social network e che per questo consumano sempre meno quotidiani e leggono sempre meno libri.
L’ignoranza telematica sottolineata con arguzia da Roth era stata anticipata qualche anno fa. Robert Proctor, storico della scienza a Stanford, aveva sostenuto che in alcuni casi la relazione tra la massa di informazioni circolanti e il livello culturale medio si ribalta. Non sopravvalutatemi: non pensate – amici, follower e lettori – che io abbia mandato a memoria la sua lezione. Mi limito a consultare il mio archivio cloud prima di riproporvela. L’agnotologia è lo studio dell’”ignoranza costruita culturalmente”. “L’ignoranza non deriva solo dalla mancanza di attenzione o di conoscenza – spiega Proctor – È influenzata anche dalle persone che mistificano i fatti o da quelli che li rendono talmente confusi dallo spingere al disinteresse sul vero o il falso”. Aveva dovuto prenderne atto anche l’edizione statunitense di Wired, la rivista dell’euforia digitale: “Dopo aver celebrato la rivoluzione dell’informazione – ammetteva Clive Thompson nel febbraio del 2009 – Dobbiamo focalizzare il suo contraltare: la rivoluzione della disinformazione”. Adesso, questa “ignoranza costruita culturalmente” viene certificata dal Censis nel corso della sua indagine annuale “sulla situazione sociale del paese”. Situazione che smentisce l’ingenua utopia della “intelligenza collettiva” che i filosofi della rete avevano diffuso nei primi anni Novanta e che il para-guru grillino Gianroberto Casaleggio ha riciclato venti anni più tardi in salsa tardo-liberista, forgiando a colpi di profezie da futurologo e video in streaming il corpus teorico del Movimento 5 Stelle. La sintesi del Casaleggio-pensiero è nota: si fa finta di non notare la convergenza di tv e web di cui sopra (e Grillo ne è un esempio succulento) e si sostiene che in Rete opererebbe una specie di mano invisibile che consente alla verità di venire a galla e alle competenze di essere premiate. Corollario: l’equilibrio perfetto del mercato che alloca risorse e distribuisce le ricchezze che ha fallito nel mondo reale si afferma adesso nello spazio virtuale, dove finalmente la trasversale ideologia della “meritocrazia” ha modo di ripristinare le gerarchie e premiare i buoni e giusti. Riesce a indicare alle masse di precari in cerca di collocazione una nuova speranza di carriera. “Chi vuol esser Parlamentare?”, si chiama il reality al quale hanno partecipato amici e parenti dei politici a 5 Stelle per guadagnarsi un posto nelle liste bloccate dell’amato-odiato Porcellum. Siamo sempre il paese del familismo amorale, nonostante tutto.
Non ho bisogno di ripassare le discussioni nei forum e su Facebook tra i grillisti, invece, per sapere che le feroci lotte all’interno del Movimento 5 Stelle non riguardano mai questioni programmatiche, opzioni strategiche sui contenuti o impostazioni politico-culturali. Dentro il non-partito posseduto dal Capo si discute solo ed esclusivamente di possesso del marchio (l’epurazione in casa Grillo è “sottrazione del logo”), di compilazione di liste elettorali, di gestione del brand in relazione ai mass-media e nello spazio pubblico. Le storie esoteriche di Casaleggio e le barzellette politiche di Grillo sono un esempio della pratica dell’utilizzo della narrazione diffusasi all’interno dell’organizzazione della produzione immateriale, nella aziende della new economy e nei meeting aziendali volti a rafforzare la fedeltà del lavoratore al brand. Grillo e Casaleggio (G&C), per di più, sono abituati a mobbizzare gli adepti a 5 Stelle: li fanno sentire sotto pressione, lanciano ultimatum e li mettono gli uni contro gli altri reiterando i codici dello stalking aziendale che i trentenni hanno sperimentato sul campo di battaglia della guerra contro il lavoro condotta dal capitale negli ultimi venti anni.

Abbassi il volume della suoneria, alzo lo sguardo dal telefonino e rivedo le scene degli ultimi giorni in giro per l’Italia ipnotizzata dal Grillo Qualunque. La “Pastorale americana” narrata dello scrittore in pensione passato al telefonino Roth era la storia di una famiglia borghese incrinata dalla guerra in casa dei tempi del Vietnam, dalla generazione dinamitarda e delle rivolte razziali. La “Pastorale grillina”, al contrario, è fatta di questo mix di frustrazione e servilismo, dal lato oscuro della “generazione fantasma” (Monti dixit) e del disperato bisogno di mettersi in fila e partecipare al reality show della politica messo in piedi da G&C, come è accaduto in occasione del grottesco casting su YouTube per la manfrina delle “parlamentarie”. In pochi hanno scritto che da qualche settimana tra i grillini non si respira l’atmosfera liberatoria, irresponsabile e giocosa che circola prima di una rivoluzione. Hanno paura, i seguaci di Grillo. Litigano furiosamente tra di loro. Non sanno come rispondere alla critiche più motivate, ti chiedono di non citarli, ti guardano negli occhi cercando comprensione, vivono coll’incubo dei fuori onda (“Non è che hai un microfono addosso?”) che hanno fatto il successo delle trasmissioni anti-Casta più ammirate. I più politicisti, semmai, ti confessano che non hanno intenzione di farsi indietro proprio alla vigilia di un probabile successo elettorale e giurano che all’indomani delle elezioni sarà diverso. Il “carnevale staliniano”, come lo ha definito Wu Ming 1 citando Slavoj Žižek, delle epurazioni verso gli ex fedelissimi mette in moto un meccanismo ambivalente: da una parte si immolano ai bassi istinti del “popolo del web” (mai invenzione giornalistica fu più dannosa) gli ex consiglieri del principe, dall’altra si semina terrore tra i propri quadri ribadendo il potere assoluto.
Adesso devo andare, mi chiamano in chat. Metto il vibrato in attesa di nuove dalla “rivoluzione digitale” di G&C.


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Pics: 1) Philip Roth 2) SteveStalindotcom

Questo pezzo di Giuliano Santoro è comparso come editoriale d’apertura del numero dello scorso 14 dicembre di Orwell inserto culturale di Pubblico.

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